[textmarker color=”E63631″]CORMANO[/textmarker] – Dal ciclismo alla pittura, passando per l’artigianato e la sartoria. Tutto accumunato dalla fisicità, da una grande manualità che reclama espressione, a condire una vita che è già di per sé un’opera d’arte. La storia di Luigi Profeta, pittore che da Cormano è arrivato alle gallerie di buona parte di mondo, parte sul sellino di una bici, seguendo le orme paterne. “Ho fatto ciclismo professionistico per dieci anni – racconta -. Mio padre è stato campione del mondo dei 100 km su pista, facendo il record al Vigorelli”.
Lo sport vissuto come un binomio: da una parte la necessità, ancora una volta, di esprimersi, dall’altra la voglia di seguire l’insegnamento paterno, fino all’inevitabile disillusione. “Nessuno viveva lo sport come lo intendevo io, per me era una sfida con me stesso – afferma Profeta -, in troppi invece, già all’epoca, usavano sostanze pur di vincere. Ho capito in fretta che non poteva essere la mia strada”.
Dalle gambe che corrono alle mani che devono produrre. Profeta prende a lavorare in una piccola azienda che fabbrica pipe, “mi avevano dato un apprendistato di sei mesi – spiega -, in una settimana sapevo già fare tutto in autonomia, neanche i titolari si aspettavano una cosa del genere”. Un’altra esperienza che si consuma, per aprire la via a una novità che odora del passato. “Ero cresciuto nel laboratorio sartoriale di mia zia. Così ho pensato di aprire un maglificio”. Una tappa fondamentale, con un piccolo capanno a Cusano Milanino, nel quale lavorare con la compagna di sempre fino all’incontro con il pittore Alfonso Modaluni che si innamora di un piccolo quadretto, realizzato quasi per gioco e spinge Profeta a realizzare una mostra. “Io mi vergognavo, vivevo quei primi quadri come un procedimento catartico che pensavo rimanesse tra me e me”. Ma da lì a un anno la personale è pronta ed è un successo inaspettato. “Vendetti 21 quadri su 30 esposti – ricorda l’artista – e il primo fu proprio “Visione tra le tenebre”, il quadretto di Madaluni a cui aveva dato proprio lui il titolo”.
Profeta inizia a dedicarsi all’arte a tempo pieno ma non crede ancora nel valore delle sue opere, sino a un altro incontro determinante. “In una galleria a Como c’è stato uno scambio di impressioni con Virgilio Patarini che rimane impressionato dai miei lavori, dicendomi che in ogni opera sembro un pittore diverso pur mantenendo una mia impronta – dice quasi senza crederci Profeta -, io penso solo a diversificare quello che faccio, se no diventa un lavoro seriale e l’arte non può essere un lavoro”.
Ora Profeta è un artista quotato, con molte opere presenti nei cataloghi italiani e internazionali, oltre ad essere sui testi di storia dell’arte contemporanea.
Il suo stile è una miscellanea di tutto quello che ha attraversato il suo percorso di vita: colori forti, tratti potenti ma anche innesti fotografici, tessuti, ago e filo su tela. Ogni opera è piena di allegorie, di significati nascosti che mutano a ogni visione.
In dieci anni di carriera l’artista ha realizzato 1361 opere e in autunno esporrà anche la sua prima personale di fotografia all’Alzaia Naviglio di Milano.
Ma Profeta non ha nulla dell’artista arroccato nella torre d’avorio. Il suo laboratorio è ancora nel cuore della vecchia Cormano, ricavato nell’appartamento lasciatogli dall’amata zia.
Il riconoscimento quale artista, la fama e il denaro non sono tra i primi pensieri di Profeta. “Tutto quello che riuscirò a ottenere, i miei lavori e le opere quotate saranno l’eredità per le mie figlie, a me personalmente il successo non interessa. Il mio obiettivo nella vita è solo uno: essere felice”.