Con l’inizio dell’anno scolastico si torna a parlare di programmi e di sfide educative, compiti da svolgere e problemi da risolvere. Per tutti, insegnanti, studenti e famiglie è un nuovo impegno, spesso una salita ripidissima da affrontare. Ne abbiamo parlato, in questa lunga intervista, con Alessandra Saita, attiva nella scuola primaria e docente per il corso di Scienze della formazione primaria presso l’Università degli studi Milano Bicocca, nonché Formatrice insegnanti. Insieme ad altri docenti aderisce al gruppo di “Insieme per Educare ed educarci. Uniti nella speranza”, una vivace realtà di Paderno Dugnano.
Con quale spirito gli insegnanti affrontano il nuovo anno scolastico?
Lo spirito con il quale ogni insegnante si affaccia ad iniziare un nuovo anno scolastico credo sia molto diverso per ciascuno. Sicuramente per tutti c’è una componente di timore perché la scuola è il classico ambiente dove il momento della ripresa è quello più caotico e frenetico dell’anno, una sorta di ripartenza da zero a cento in meno di dieci secondi. E chi insegna da un po’, questo aspetto della scuola lo conosce molto bene. Personalmente però, soprattutto negli ultimi anni, ho imparato a coltivare l’attesa dell’inizio con un pochino di anticipo, provando a preparare il nuovo anno non solo sistemando le diverse incombenze pratiche, ma soprattutto preparando il cuore all’incontro con i bambini che mi sono affidati. C’è una frase – che fatico a ricondurre a un autore preciso – che negli ultimi anni ha accompagnato la mia attesa del nuovo anno: “Ciascuno cresce solo se viene sognato” . Ed ecco allora che inizio ad immaginarmi i volti, le parole, le storie dei miei bambini e dei loro genitori. Inizio a fare spazio nel cuore a ciascuno di loro, provando a scommettere su quanto saranno cresciuti, sulle cose che avranno imparato nei mesi estivi, su ciò che, partendo da quello che ciascuno porterà nella valigia delle proprie vacanze, potremo iniziare a costruire insieme. Ho smesso da tempo di preparare i test di ingresso per misurare le loro conoscenze nel mese di settembre. Perché se è vero che si programma partendo da un dato di realtà, è altrettanto vero che la relazione che costruisci con loro è l’unica base necessaria per predisporli a un cambiamento e che ascoltare quello che ciascuno di loro ti porta dopo tre mesi è un punto molto più interessante e fecondo dal quale partire per lavorare insieme. Ecco quindi il mio spirito dell’inizio: coltivare l’attesa e aprire il cuore per un incontro autentico, che possa rappresentare la partenza per un meraviglioso viaggio alla scoperta di loro e soprattutto di me stessa. Perché chi fa questo lavoro con passione sa bene che ogni anno scolastico è un meraviglioso viaggio anche alla scoperta di sè.
Prima che iniziasse la scuola il vostro gruppo “Insieme per Educare ed educarci. Uniti nella speranza”, si è riunito per condividere un momento di esperienza e di amicizia. Che significato e che importanza ha per voi questo gesto?
L’incontro con altri colleghi con i quali condividere spunti di riflessione su tematiche educative è sicuramente un momento importante di accompagnamento e di stimolo alla riflessione. Troppo spesso nella scuola ci si concentra solo su chi sono i bambini e i ragazzi che ci vengono affidati, e troppo poco ci si pone un’altra domanda: “Chi sono io? Che insegnante voglio essere per chi mi viene affidato? Dove voglio guidare i loro passi e come voglio farlo?” I momenti di convivialità e di amicizia come quello del primo settembre permettono sicuramente di riaccendere un po’ i riflettori anche sugli insegnanti e di risvegliare la consapevolezza che i valori e i riferimenti ai quali ci ispiriamo possono fare la differenza nel modo con cui possiamo non solo insegnare, ma soprattutto educare.
I reiterati fatti di cronaca (violenze di ogni genere fra gli adulti e gli stessi ragazzi) suggeriscono quanto stia diventando sempre più urgente offrire una proposta educativa convincente, che attragga i giovani. Come può rispondere la scuola a questa necessità? Quali sono le principali difficoltà che si incontrano operando nel mondo della scuola?
Tante volte nel mio percorso di insegnante mi sono chiesta come lavorare per offrire una proposta educativa capace di attrarre i giovani e tante volte non sono riuscita a darmi nessuna risposta. Perché in educazione purtroppo – o per fortuna – non ci sono ricette che si possono applicare, soprattutto in una scuola come quella di oggi nella quale le sfide e le difficoltà sono talmente tante e talmente varie, da far sentire impotente e smarrito anche il più serio dei professionisti. Negli anni ho capito che, ancora una volta, è tutta una questione di cuore. Don Bosco e don Milani – i miei due grandi maestri – mi hanno insegnato che per prima cosa occorre essere adulti credibili. Pochi discorsi, ma tanti fatti. Poca teoria, ma tanto amore. Poche sovrastrutture ma tanto desiderio di incontrare autenticamente chi abbiamo accanto, siano essi colleghi, genitori o ragazzi.
Che ruolo hanno le scuole paritarie all’interno del tessuto sociale ed educativo del territorio, in particolare a Paderno Dugnano?
Ho la fortuna di insegnare in una scuola statale e mi ritengo una privilegiata. Devo tanto alla scuola paritaria, nella quale ho iniziato il mio lavoro tanti anni fa, ma la vera scommessa sul mio essere testimone di Gesù nel mondo è iniziata proprio quando ho scelto di intraprendere una strada diversa.
Perché le scuole statali sono le scuole di tutti. Sono quelle dove incontri la povertà materiale ed educativa, dove incontri la disabilità grave, dove incroci lo sguardo dell’immigrato, del rifugiato, del nomade. Sono quelle in cui ti interfacci con diverse culture, con religioni diverse dalla tua, con persone che ostentano in tutto e per tutto il dovere della laicità per le istituzioni.
Ed è in un luogo così che io ho la possibilità di essere testimone, perché sono chiamata tutti i giorni a chiedermi come posso io provare a fare la differenza, anche alla luce dell’insegnamento del Vangelo. Perché il Vangelo, in fondo, diventa la chiave di lettura della complessità con la quale spesso mi trovo a fare i conti e che, a volte, rischia di diventare troppo pesante da portare se non viene riletta e rianalizzata con uno sguardo di novità.
Quali sono le principali difficoltà che si incontrano operando nel mondo della scuola?
Le sfide a scuola arrivano ogni giorno. E ogni giorno, con don Milani, mi ripeto “I care”, ci tengo. Probabilmente questo “tenerci” e questo provare a ‘esserci’ non sono sufficienti da soli a prevenire alcuni disastri educativi e i loro risvolti drammatici.
Però sono sicuramente un buon punto di partenza per essere aperti al dialogo e all’alleanza con le famiglie, con le quali è possibile costruire un rapporto che superi quei momenti istituzionali in cui l’incontro avviene solo per comunicare una valutazione. Certamente la scuola ha il dovere di interrogarsi a fondo sulla partecipazione dei genitori, che credo sia uno dei punti di attenzione più importanti per costruire una rete di educatori capace di sostenere il percorso di crescita dei più piccoli. Se da un lato, infatti, in alcune realtà la partecipazione dei genitori è vista come ingombrante e poco opportuna, in altre rischia di diventare un momento nel quale, per diversi motivi, le famiglie vengono assecondate in ogni richiesta, anche in quelle più assurde. La fatica invece è quella di costruire spazi e luoghi di dialogo accoglienti, nei quali avere il coraggio di problematizzare le scelte educative che si compiono e in cui progettare insieme un cammino per ciascuno dei nostri ragazzi, in modo che si sentano voluti bene, pensati e accompagnati da tutti gli adulti di riferimento. Credo che troppo spesso la scuola negli ultimi anni si sia arrogata il diritto di dispensare consigli, ricette, giudizi e che, di rimando, le famiglie si siano sempre più chiuse, sentendosi giudicate e poco accolte. L’asimmetria dei ruoli così rimarcata non sempre aiuta nella costruzione di un progetto educativo. Certamente la scuola, in quanto istituzione, ha il preciso compito di essere guida salda, ma si può guidare autorevolmente solo aprendosi all’incontro con l’altro e avendo il coraggio di riconoscere che “per educare un bambino ci vuole un villaggio”.
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