Ven. 03 Mag. 2024
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È morto Vittorio Adorni, campione del mondo nel ’68

È morto Vittorio Adorni, grande campione di ciclismo. A dare notizia della scomparsa è Norma Gimondi, figlia di Felice, con un post su Facebook: “Ciao Vittorio, salutami papà”.

Nato a San Lazzaro Parmense il 14 novembre 1937, è stato ciclista professionista dal 1961 al 1970 vincendo il Giro d’Italia nel 1965 e laureandosi campione del mondo nel 1968. Storica e iconica l’impresa mondiale, realizzata a Imola dopo una fuga a 90 chilometri dal traguardo.

Protagonista al Giro d’Italia, salì sul podio della Corsa Rosa in altre due occasioni (secondo nel 1963 e nel 1968). Tra gli altri risultati di lusso i tre podi consecutivi alla Liegi-Bastogne-Liegi (tra il 1963 e il 1965, senza mai riuscire a vincerla) e la seconda piazza alla Milano-Sanremo nel 1965.

Adorni, “spalla” di Sergio Zavoli

Oltre alle tante vittorie (60 corse tra i professionisti), Adorni è stato anche un personaggio di rilievo: commentatore Tv, iniziò come opinionista, al fianco di Sergio Zavoli nel celebre “Processo alla tappa”, quando ancora correva ed è stato il precursore dei commentatori televisivi ex sportivi, abile nel raccontare l’aspetto tecnico degli eventi con una capacità di linguaggio unica. Era stato anche direttore sportivo alla Salvarani e alla Bianchi-Campagnolo.

Adorni era stato ricoverato ieri ed è deceduto oggi in ospedale.

Solo qualche giorno fa, il 1° dicembre,  all’età di 89 anni, era scomparso un altro grande del ciclismo, Ercole Baldini, soprannominato “Il Treno di Forlì”. Baldini conquistò il Mondiale a Reims, in Francia, nel 1958,  dieci anni dopo l’affermazione di un altro italiano, Vittorio Adorni.

Un ciclista elegante

Adorni approdò nel ciclismo caratterizzato dal dualismo tra Felice Gimondi e l’emergente Eddy Merckx, in un ambiente molto popolare e naif, ma il corridore emiliano rappresentò l’eccezione: sapeva parlare, sfoggiava eleganza ed era disinvolto, al punto da riuscire a conversare anche con letterati e uomini di cultura.

Adorni aveva appropriatezza di linguaggio e una naturale propensione verso il mezzo televisivo. Sergio Zavoli se ne accorse e, fin dal 1965, lo chiamò quasi ogni giorno, ospite fisso al Processo alla tappa.

In una puntata di questa trasmissione, era il 17 maggio 1969, al termine della seconda tappa del Giro d’Italia, la Brescia- Mirandola, si trovò a duettare addirittura con Pier Paolo Pasolini, che in quegli anni era una figura di intellettuale molto nota anche al grande pubblico.

Il naturale intervistato – il corridore – si trovò a fare l’intervistatore. Adorni, allora 31enne, non aveva letto molto di Pasolini, lo conosceva solo per qualche cronaca sui giornali. Zavoli lo prese in contropiede chiedendogli di fare delle domande al celebre scrittore.

Con spigliatezza e al limite della sfrontato, Adorni chiese a Pasolini che cosa fosse venuto a fare al Processo alla Tappa: “È venuto per farsi pubblicità, è venuto per vedere se c’è qualche nuovo caso per poter fare un film, oppure scrivere dei libri? È convinto che nel ciclismo ci siano soltanto dei pedalatori, sfaticatori della strada, oppure lei stesso è convinto che ci sia dentro qualcosa, qualcosa di buono da tirar fuori, magari qualche bel personaggio da scrivere, oppure qualche film da fare. Vorrei sapere questo…”

Lo scrittore, un po’ sulla difensiva, rispose in modo pacato: “Sono venuto qui semplicemente per amore del ciclismo. Però stando qui, come sempre succede, nascono le sorprese, le cose impreviste. Per esempio, ho visto due facce che veramente prenderei in un film, cioè la faccia di Dancelli e la faccia di Taccone“.

Ovviamente Pasolini era interessato al mondo del ciclismo, al suo volto più squisitamente popolare e sanguigno – pensiamo al personaggio di Vito Taccone – interpreti di quell’Italia in via di estinzione che, secondo il suo modo di vedere, stava soccombendo di fronte all’omologazione culturale del consumismo borghese. Quell’Italia contadina era ancora ben rappresentata dai volti di Taccone e Dancelli, Boifava e Polidori.

Solo sfaticatori della strada?

Adorni che, da uomo intelligente intuì un certo irrigidimento dello scrittore, provò a spiegarsi meglio: “Volevo sapere un po’ le sue impressioni perché generalmente i giornalisti ci investono sempre delle solite domande. Non che gli voglia male, che non sappiamo scrivere… però è un po’ sempre la solita storia: i rapporti, perché sono scappati, perché hai mangiato, perché non hai mangiato, sei andato in crisi di fame. Siccome lei è un grandissimo scrittore e tutte le cose che ha fatto sono state un po’ elogiate, criticate… vorrei sapere da lei una cosa, una cosa veramente sincera: crede veramente che questi corridori siano degli sfaticatori di strada, oppure crede ci siano dei personaggi diversi dal pedalatore al di fuori dalla corsa?”.

Pasolini, in quella puntata del Processo alla Tappa,  aveva colto i cambiamenti del tempo anche nel mondo del ciclismo, riflesso della società. C’era la diversità sostanziale tra figure come quelle di Taccone e quella di Vittorio Adorni, uomo spigliato, abile nelle pubbliche relazioni, destinato a un futuro professionale nel mondo della televisione.

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Angelo De Lorenzi

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