I ciclisti accendono la fantasia degli scrittori. Se poi il corridore è femmina, la storia diventa ancora più intrigante. Simona Baldelli è una scrittrice vera: il suo primo romanzo, Evelina e le fate (2013) è stato finalista al Premio Italo Calvino e vincitore del Premio Letterario John Fante 2013. Di romanzi ne ha scritti altri, al centro dell’interesse dei lettori e della critica. Alfonsina e la strada, Sellerio, è il suo ultimo lavoro.
Come è nata in lei l’idea di occuparsi di Alfonsina Strada?
Io sono un’appassionata di sport, anzi, potrei dire che ne sono profondamente innamorata. Il motivo principale è che, ai miei occhi, lo sport incarna costantemente la sfida dell’essere umano con i suoi limiti, sia fisici che mentali. Nel momento in cui l’atleta cerca di correre il più forte possibile, di attraversare un campo con la palla incollata al piede, tuffarsi da altezze impensabili, sta spostando un po’ più in là non solo i suoi propri confini, ma quelli di tutta l’umanità. Afferra uno spicchio di eternità, e questo non smette di commuovermi.
Alfonsina Morini Strada oltrepassò doppiamente questi confini, come atleta e come donna, perché riuscì a squarciare la discriminazione più radicata (nello sport e non solo): prendere parte a una gara riservata solo agli uomini, il Giro d’Italia, nel 1924. Quindi è un personaggio che fa parte del mio bagaglio culturale ed emotivo da sempre. Mi è tornata in mente con prepotenza qualche anno fa, mentre rivedevo il videoclip di “Alfonsina e la bici” il brano che i Têtes de Bois hanno dedicato ad Alfonsina Strada in cui Margherita Hack interpreta la corridora. Vedere quelle immagini e l’allegria bambina e sognante che Margherita Hack in tuta da meccanico esprimeva armeggiando con una bicicletta e pensare “voglio scrivere un romanzo ispirato alla vita di Alfonsina Strada”, è stato inevitabile.
Che cosa l’ha colpita di più di questa figura?
La tenacia, il coraggio. La capacità di guardare, sempre, oltre l’orizzonte.
Scrivere di sport non è semplice: quali sono stati i suoi modelli di riferimento – se ce ne sono stati – nello scrivere questo romanzo?
Non ho pensato ad Alfonsina e la strada, come a un romanzo di sport. L’ho affrontato come altri in cui mi sono basata sulla vita di personaggi realmente esistiti, vicende realmente accadute. Questa è la storia di Alfonsa Morini Strada, ma scrivere un romanzo, benché biografico, non è solo inanellare aneddoti. Occorre trovare una crepa in cui infilarsi e, pur nel rispetto dei fatti e dei personaggi, introdurre la voce di chi scrive, e mantenere il filo del discorso.
Molte donne si sono forse riconosciute in questa figura per la portata sociale della sua attività decisamente controcorrente. Lei che cosa ne pensa?
Non so se Alfonsina Strada sia andata contro corrente. Certamente ha cercato di seguire il suo destino, ovunque la conducesse; rispondere a un bisogno interiore, rispettare e dare concretezza ai propri sogni. È innegabile che, ora come allora, le donne debbano faticare infinitamente più di uomo per raggiungere un risultato; ma io credo che la figura di Alfonsina parli a ogni essere umano che intenda andare oltre il perimetro del già conosciuto, raggiungere orizzonti impensati fino a quel momento. Il desiderio profondo, innegabile e commovente, di misurarsi con l’infinito.