Mar. 15 Ott. 2024
HomeEditorialeI privilegiati delle case popolari

I privilegiati delle case popolari

Nell’Italia dei privilegi e delle raccomandazioni non sfugge nemmeno la politica dell’edilizia sociale. Siamo abituati a pensare alle case popolari come ad un rifugio per i casi “sociali”, ossia per i nuclei più deboli e per quelle famiglie che non riescono a sostentarsi per problemi sociali, culturali, lavorativi.

Nella concezione naturale del servizio, le case popolari dovrebbero dunque essere (almeno per la maggior parte dei casi) un luogo di passaggio più o meno lungo per famiglie e persone che nel tempo dovrebbero risolvere le loro debolezze. Invece, si trasformano nella “casa per sempre”.

Inutile dire l’assegnazione dell’edilizia sociale è da sempre al centro di dispute perché in molti ritengono che le modalità di assegnazione non sono eque. Il commento più diffuso è “le case le danno solo agli stranieri”. Forse è vero, perché evidentemente gli stranieri sono alla base della scala sociale, ossia sul gradino più denso di problemi sociali. Qualcuno periodicamente solleva anche dubbi sulle procedure di definizione delle graduatorie che, per essere chiari, sono fatte sulla base di regole imposte dalla Regione.

Ma il vero scandalo è un altro: chi accede a una casa popolare con regalare contratto, ha buone probabilità di rimanerci tuta la vita. E se è scaltro, riesce a garantire una casa a canone sociale anche ai suoi eredi.

E si, perché le regole regionali prevedono che per far decadere l’assegnazione la famiglia debba avere un reddito Isee superiore ai 28mila euro, sempre che non sia stato aggiornato al rialzo nel frattempo. Sapete cosa significa? Che una famiglia di 4 persone può stare tranquilla nella casa popolare anche se i componenti guadagnano più di 60mila euro lordi l’anno. La bellezza di 4mila euro netti al mese e forse di più.

Difficile chiamarle case popolari… Questo cosa significa? che se nei comuni del Nordmilano ci sono poco meno di 4000 famiglie in lista d’attesa per una casa popolare, gli oltre 4mila alloggi pubblici esistenti (tra quelli di proprietà di Aler e quelli dei Comuni), si liberano solamente quando l’inquilino, pace all’anima sua, muore.

E non è detto che ciò accada. Perché un inquilino scaltro che intende sistemare figli e nipoti, non deve fare altro che iscrivere la residenza nell’alloggio dei suddetti parenti. In questo modo avranno diritto a chiedere la voltura, ossia un passaggio diretto.

A questo punto la battaglia leghista in Regione Lombardia e le ipotesi avanzate dall’assessore regionale alla Casa Paola Bulbarelli, appaiono come una foglia di fico su un problema, quello della casa, che ha ben altre origini.

Affermare che un lombardo ha diritto alla casa pubblica dopo 15 anni di residenza, ripulirà le liste di qualche straniero, ma certo non libera le case che oggi sono occupate da famiglie di medio reddito.

 

ARTICOLI CORRELATI