Sono stati celebrati oggi pomeriggio nella Basilica di Sant’Ambrogio i funerali di Ernesto Pellegrini, ex presidente dell’Inter e grandissimo imprenditore. L’ultimo saluto non poteva essere tributato altrove: con il patrono di Milano Ernesto aveva in comune il carattere intrepido, la laboriosità e una fede rocciosa, vissuta con umiltà. La sua è la storia di un milanese autentico, che ha perfettamente incarnato i valori del milieu ambrosiano e ha saputo affrancarsi dalla condizione contadina fino a dare vita a un Gruppo aziendale leader nel suo settore, la ristorazione.
“Prima la fatica, poi il raccolto”
Da ragazzino Ernesto Pellegrini frequenta Ragioneria e dà una mano al papà ortolano, nei campi o accompagnandolo sul carretto diretto al mercato. A vent’anni fa il contabile alla Bianchi, la fabbrica di biciclette fondata da Edoardo, altro self made man dalle umili origini (era cresciuto nell’orfanotrofio dei Martinitt). Ma il giovane Pellegrini scalpita, ottiene la responsabilità della mensa aziendale e poi a 25 anni si mette in proprio. “Con l’esempio – raccontava – i miei mi hanno insegnato che senza fatica e passione non ci può essere il raccolto”. Inizia così un’avventura che, all’insegna del motto “laurà, laurà, laurà”, lo porterà a raggiungere quota undicimila collaboratori e a sviluppare la sua attività anche all’estero. Nel 1984 tocca il cielo con un dito realizzando una delle sue aspirazioni: sgancia 9 miliardi di lire e conquista l’Inter, succedendo come presidente a Ivanoe Fraizzoli.
Con Trapattoni, da Cusano Milanino, vinse lo scudetto dei record
È il decennio dei tedeschi a San Siro. Il primo botto è l’acquisto di Kalle Rummenigge, campione amatissimo dal popolo nerazzurro, ma purtroppo con qualche problema fisico.
Più avanti, affidandosi a Matthaeus, Brehme e a un allenatore “teutonico” come Trapattoni, da Cusano Milanino, l’Inter di Pellegrini vince lo scudetto dei record con 11 punti di vantaggio sul Napoli di Maradona e 12 sul Milan di Van Basten, Gullit e Baresi. Nel 1991 e nel 1994 arrivano anche due Coppe Uefa.
Ma l’inseguimento ai rossoneri berlusconiani logora l’ambiente nerazzurro e nel 1995 Pellegrini consegna l’Inter a Massimo Moratti. Un cambio di proprietà necessario, che non cancella il ricordo positivo di un presidente che non ha per niente lesinato quanto a tifo e bigliettoni versati alla causa. Rummenigge, pochi giorni fa, ha definito Pellegrini un “papà dei giocatori”. E da parte dei tifosi vengono tuttora manifestati sentimenti di rispetto e gratitudine.
Ernesto Pellegrini, imprenditore della carità
Pellegrini aveva una caratteristica unica: chi collaborava con lui a un progetto, a prescindere dal ruolo, veniva considerato come uno di famiglia. Molti dipendenti, non a caso, hanno ricordato che il “sciur” Ernesto li salutava col loro nome pur avendoli magari conosciuti in una sola occasione. Fede e umanità sono stati l’eredità del borgo originario di Morsenchio, zona est di Milano, dove una chiesina dedicata alla Beatissima Vergine Maria vigilava sulle famiglie contadine. Radici che Ernesto ha sempre portato con sé tanto da voler “restituire in senso cristiano – così diceva – il tanto che la vita ci ha dato”.

Senza clamori, spesso in silenzio, un po’ alla Gino Bartali (“Il bene si fa ma non si dice”), Ernesto ha sempre promosso solidarietà, assicurando la propria collaborazione a opere già attive. Da ricordare, per esempio, il sodalizio con don Mazzi a sostegno di volontari per l’Africa. Ma anche nell’esercizio della carità l’animo imprenditoriale di Pellegrini alla lunga ha prevalso, ispirandogli di mettersi in proprio con alcune iniziative originali.
La fede e i pellegrinaggi a Lourdes
È il caso della Fondazione Pellegrini, che da diversi anni dà una mano ai “nuovi poveri” (falliti, separati, persone sole) provando ad accompagnarli fuori da un tunnel imprevisto. Oppure è il caso del ristorante Ruben del Giambellino, che ogni giorno serve 500 pasti al prezzo simbolico di un euro e che prende il nome da quella persona che ai tempi del Morsenchio lavorava “sempre sereno e allegro” per i Pellegrini, un contadino che la chiusura della cascina costrinse alla povertà fino a morire di freddo in una baracca di legno. “Erano i primi anni ’60, non avevo disponibilità, – spiegava Ernesto – e Ruben non sono riuscito ad aiutarlo. Oggi vorrei, però, aiutare qualcuno dei tanti Ruben che, per una ragione o per l’altra, vivono il loro momento di difficoltà e disagio”. Ma non di solo pane vive l’uomo. E così Pellegrini completava l’opera preoccupandosi anche dell’aiuto spirituale, organizzando ogni anno un pellegrinaggio a Lourdes per affidare a Maria la soluzione di tante situazioni incontrate. Nella grotta di Massabielle ritrovava la stessa Maria che aveva conosciuto da bambino, la Beata Vergine del Morsenchio, e che gli aveva assicurato che il bene, alla fine, trionfa.
Paolo Costa