Ven. 29 Mar. 2024
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Vestiti di Felicità

In occasione del Black Friday, l’ultimo venerdì di novembre caratterizzato da sconti pazzi e pertanto adatto ad acquisti altrettanto bizzarri, ho comprato un paio di scarpe da basket su un sito di e-commerce: “tamarrissime”, in gergo giovanile. Una fucsia e l’altra azzurra. L’opinione dei miei cari? Meglio sorvolare.

Nonostante la spedizione non sia stata delle più veloci, appena le ho potute calzare mi si è scaldato il cuore: ero convinto di aver colto “l’affare del secolo”.

E pensare la rapidità con cui le ho scelte: è bastato un’annuncio pubblicitario che le raffigurava in tutto il loro splendore. Sembravo un bimbo di cinque anni per la prima volta in un negozio di giocattoli: “mamma, voglio queste”, indicandole col ditino.

In un periodo di semi-lockdown come questo, in cui non si può praticare attività sportiva se non all’aperto e individualmente (pratica per cui sono sufficienti delle scarpe che indossano tutti i comuni mortali), ne avevo veramente bisogno?

Forse no, eppure qualcosa mi convinceva: dovevo comprarle.

Eccolo: il consumismo.

Ne siamo tutti schiavi, è risaputo ormai da decenni. La nostra mano e la nostra mente sono manipolate da una creatura superiore, proprio come fossero parte di un’automa. Quella specie di controllore malvagio, sadico, o forse tiranno, è la pubblicità: capace di modellare a suo piacimento i nostri bisogni, al punto tale da condurci a credere fermamente che una calzatura possa renderci felici, esauditi nel profondo.

We are what we wear

We wear what we are

Sono i versi di una canzone a me particolarmente cara: “Wing$”, dell’artista americano Macklemore. Il cantante denuncia la volontà, ormai dilagante, di associarsi a un’etichetta o un logo e quella fugace felicità che ci rapisce a ogni acquisto tanto bramato, per poi lasciarci vuoti seppur pieni di oggetti.

L’ascoltavo. E pensavo.

Pensavo al Natale, consumista per eccellenza con i suoi “regali”, semplici oggetti quasi mai essenziali. Una festa quest’anno ancor più bizzarra, date le restrizioni che costringeranno tanti a passarla in solitudine. A queste persone mi sento di rivolgere, per quanto inutile che sia, un pensiero affettuoso.

Bizzarra per le persone impiegate a combattere il virus nelle strutture sanitarie. Non eroi: persone. Persone che, come tutti, sono stanche, spossate, speranzose che tutto questo finisca al più presto.

Bizzarra per i tanti che, in meno di un anno, si sono ritrovati a dover fare la fila davanti alla Caritas, nella speranza di ricevere un piatto caldo per sé e per le proprie famiglie, per i propri bambini, i quali, forse, ringrazieranno il Cielo per quel regalo: un guazzabuglio di verdure in pezzi.

Bizzarra anche per gli esponenti politici, che pranzeranno con l’ansia di dover estrarre dal cilindro nuovi colori e nuovi decreti per sconfiggere il virus.

Bizzarra per i negozianti che un lavoro ce l’hanno, senza però sapere ancora per quanto.

Bizzarra per me, un ragazzo di vent’anni da un lato spaventato, dall’altro annoiato, da un altro ancora, spaesato perché non riesce ad aiutare concretamente nessuno: neppure se stesso.

Bizzarra per tutti noi che, nonostante una pandemia globale, continuiamo a pensare quali regali comprare.

Forse è solo un semplice, innocuo e spontaneo meccanismo per evacuare.

E allora pensavo. Osavo immaginare un consumismo immateriale, plasmato dai sentimenti.

Mi spiego, o, almeno, ci provo.

Il sentimento muove il mercato. Così, spinti da quella forza sovrumana, di gran lunga più potente della pubblicità, si compra un oggetto. Per esempio un pacco di pasta o un libro, ma non su internet. Infine, quel bene materiale deve essere donato, affinché si renda Felice qualcuno ( meglio se più di uno). La differenza tra “felicità” e “Felicità” è sottile, ma sostanziale. Donando un libro è ben difficile cambiare la vita intera di una persona. Eppure, se quell’agglomerato di fogli di carta si rivela essere capace di trasferire emozioni, e non soltanto un sorriso, al ricevente, allora avete vinto.

Voi”, non “tu”.

Anche il commerciante che te lo ha consigliato, te lo ha descritto, ti ci ha fatto quasi appassionare, o che magari te ne ha parlato così a lungo da annoiarti al punto tale da convincerti a sottrarlo da quel maledetto scaffale. Sono certo che la sua Felicità non sta solo in quei pochi spicci che ci guadagna, che gli valgono un pezzo di pagnotta: è Felice di aver trovato un premuroso proprietario per quel libro, a lui caro come un bambino.

Anche l’infermiera è Felice: sa che una persona in più rimarrà a casa, in sicurezza, a leggere il suo libro. E così pure il governo si può dire sollevato: addio magico cilindro!

Io sarei Felice di trasmettere, attraverso queste parole, la Felicità: che Natale meraviglioso sarebbe.

P.S.: Quando leggerete questo articolo, il 25 dicembre potrebbe essere già passato: ricordate che il Natale rappresenta una nascita, l’inizio di una vita… che non finisce mai!

Di Stefano Bombonato 

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