Ven. 19 Apr. 2024
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“Io, coppiano, vi racconto perché ho scritto un libro su Gino Bartali”. Questa sera la presentazione a Cinisello

[textmarker color=”E63631″] CINISELLO BALSAMO -[/textmarker] Appuntamento questa sera all’Auditorium Falcone e Borsellino, alle ore 21, per la presentazione del libro Gino Bartali. Un “Santo” in bicicletta (Mimep-Docete)– organizzata dall’Assessorato allo Sport in collaborazione con il centro culturale Cara Beltà di Cinisello Balsamo – con l’autore Angelo De Lorenzi e il professor Sergio Giuntini, storico e docente universitario di Storia dello Sport, a moderare la serata Emanuele Michela giornalista del Foglio Sportivo.

Per l’occasione nei locali dell’Auditorium saranno allestiti alcuni pannelli della mostra fotografica “Un diavolo di campione, un angelo di uomo. L’ avventura umana di Gino Bartali” organizzata in collaborazione con la Polisportiva Gagliarda di San Benedetto del Tronto e visitabile al Pertini dal 18 al 27 novembre.

Intanto un assaggio del libro con l’autore.

Partiamo da titolo del suo libro Gino Bartali un “Santo” in bicicletta. Perché Santo?
Un Santo in bicicletta perché nel libro si cerca di mettere in evidenza quella che è stata un po’ la radice che lo ha portato a compiere determinate gesta, diventate negli ultimi anni note a tutti. In particolare i suoi viaggi, quei finti allenamenti – durante la guerra l’attività agonistica era ferma -che Bartali faceva in bicicletta da Firenze fino ad Assisi. Questo è un passaggio molto importante, lui andava in una tipografia gestita Luigi Brizzi, una persona che si mise a disposizione per aiutare gli ebrei italiani perseguitati.  Con la sua apparecchiatura realizzava documenti falsi e Bartali li trasportava infilandoli nella canna della bicicletta, ritornava a Firenze e li consegnava ad alcuni rappresentanti della Chiesa. Si era  formata una rete di solidarietà ben organizzata e diffusa sul territorio italiano, su iniziativa del Cardinale Elia Dalla Costa – di cui è in corso un processo di beatificazione – che coinvolgeva monasteri e case religiose ad Assisi che venivano utilizzate come rifugio per gli ebrei perseguitati, perché erano luoghi che non potevano essere violati dalla polizia fascista.

Bartali è uno di questi personaggi, che ha contribuito e ha alimentato questa rete di solidarietà. Lui faceva tanti viaggi non solo di ritorno a Firenze ma anche a Genova perché molti ebrei scappavano e andavano fuori dall’ Italia via mare, oppure verso la Svizzera.

Questa è la vicenda storica, ma Gino Bartali non ne parlò mai durante la sua vita, non volle mai rivelare questo episodio della sua vicenda umana, perché, come disse al figlio Andrea– ” il bene si fa ma non si dice e sfruttare le disgrazie degli altri per farsi belli è da vigliacchi”. Il giornalista ed ex corridore Paolo Alberati fece delle ricerche approfondite e andò ad intervistare le suore che videro Bartali coinvolto in questa vicenda.

Questo episodio mi suggerisce un certo tipo di santità, simile a quello evocato spesso da Papa Francesco, ovvero il Santo della porta accanto, ovvero persone a portata di mano che non fanno cose all’apparenza straordinarie ma rispondono alla propria vocazione nella vita quotidiana.  In fondo Bartali obbedì semplicemente a una indicazione del Cardinale Elia Dalla Costa, ma occorre aggiungere che andò incontro a grandi rischi. Poteva essere arrestato e ha rischiato certamente la vita.  Quindi vedo nell’intera vicenda umana e agonistica di Bartali una componente di eroismo e santità intesa anche come possibilità di martirio. Non mi risulta che sia stata ancora presa in considerazione la causa di canonizzazione, ma penso che si potrà tenere conto di ciò che ha fatto nel pieno rispetto, ovviamente, di tempi e valutazioni della Chiesa. Però mi piacerebbe che papa Francesco leggesse qualche pagina del mio libro…

Il libro racconta un po’ di tutto, c’è la parte biografica, quella sportiva in senso stretto e la parte riguardante la vita, le vicende legate alla famiglia e la fede. Può raccontarci un episodio significativo per ciascuno di questi aspetti?
Circa la vita mi è piaciuto molto raccontare nelle prime pagine l’ambiente in cui è vissuto, è nato a Ponte a Ema, piccolo comune alle porte di Firenze, dove finisce la famosa “salita dei moccoli” che veniva utilizzata insieme al fratello per allenarsi. Un altro episodio particolare legato alla vita di Bartali è proprio la scomparsa del fratello Giulio cui era molto legato, anch’egli corridore promettente, che morì in un incidente. Questo è un fatto che lo accomuna a Coppi, il cui fratello, Serse, morì in gara.

Per quanto riguarda la fede, possiamo ricordare che si fece costruire una cappellina privata all’interno di casa sua perché a un certo punto era così famoso che quando andava a Messa le persone non seguivano più la funzione rimanendo attratte dalla sua presenza, e questo lo portò a costruire una cappellina dove pregava quotidianamente. Ora è stata trasferita al museo della Memoria di Assisi, dentro c’è anche una statua di Santa Teresina di Lisieux cui era particolarmente devoto, una santa molto semplice e amata dai Papi, che aveva parecchio seguito in Francia e fu uno dei motivi per cui quando Bartali vinse il tour de France i francesi lo adottarono, nonostante fosse un avversario e ne esaltarono la vittoria.

Le sue imprese furono numerose. Anni fa uscì un libro dal titolo “Un mito oscurato” perché Bartali era fortissimo e sarebbe stato ancora più vincente se non fosse arrivato Coppi. Bartali vinse tanto ma la critica e gran parte dei tifosi preferirono Coppi perché le sue vittorie erano più esaltanti. Però Bartali di notevole fece molte cose, per esempio vinse due tour de France a distanza di dieci anni. Lo  vinse da giovane e poi dopo la guerra e questo cosa dal punto di vista sportivo e agonistico è assolutamente unica. Lui era un forte scalatore e nello stesso tempo era un corridore capace di vincere allo sprint una corsa come la Milano San Remo più adatta ai velocisti.

La grande rivalità tra Bartali e Coppi ha diviso l’Italia sia dal punto di vista sportivo  che di costume…
La loro rivalità non è stata solo sportiva. L’Italia era spaccata in due fazioni e tifoserie. Coppi lasciò la moglie e andò a vivere con la Occhini che a sua volta aveva lasciato marito e figli e la vicenda fu particolarmente traumatica.  Bartali, invece,  ha incarnato il modello di una famiglia tradizionale. Quindi c’è stata una lettura di un certo tipo: Coppi il progressista laico e Bartali invece il pio. E’ innegabile  il fatto che durante le competizioni fossero “rivalissimi”, la rivalità era autentica, genuina, non un prodotto artefatto dai giornalisti, ma autentica. Ma è anche vero che furono molto amici tant’è che si riavviarono molto nell’ultima stagione sportiva di Coppi quando misero in piedi una squadra. Coppi capitano, Bartali direttore sportivo, ma il progetto rimase solo sulla carta perché Coppi quell’inverno andò in Africa, contrasse la malaria e morì. I due si stimavano molto nonostante la rivalità sportiva.

Come mai un libro su Bartali, lei che si dichiara “coppiano”?
In effetti, come “coppiano”, ho fatto un po’ di fatica a scrivere questo libro… Scherzo! Ci sono aspetti peculiari che mi hanno colpito e ho cercato di evidenziare, uno è la sua fede cristiana. Era credente e frequentava i Santuari Mariani. Come lui stesso definisce è una fede semplice, non c’è nulla di particolare, ma si evince dalle sue lettere che fanno parte di un epistolario in gran parte inedito e alcune di queste sono state pubblicate su diverse riviste e giornali che ho ripreso all’interno del libro perché sono quelle che mi hanno dato lo spunto e la curiosità di iniziarlo.

Mi ha colpito la bellezza di queste lettere perché fondamentalmente esprimono due cose, da una parte le fede e dall’altra l’amore per la sua Adriana. Per cui sono lettere di fede e di amore ma la cosa singolare è che queste lettere tengono insieme questi due elementi in modo assolutamente mirabile. Inoltre raccontano Bartali senza mediazione, solitamente siamo abituati a leggere di Bartali attraverso il pensiero di giornalisti e commentatori. Nel mio libro riporto qualche testimonianza diretta del protagonista.

È una documentazione che riguarda la vita pratica, non c’erano le mail quindi erano l’unico modo per un uomo che di mestiere faceva il corridore in giro per l’Italia per far avere notizie alla sua famiglia. Scrive solitamente dopo la tappa.

Non è il suo primo libro sul ciclismo, da dove origina questa passione?
Lo sport in generale mi è sempre piaciuto, ma ho notato che le storie legate al ciclismo sono sempre molto interessanti perché spesso diventa un pretesto per raccontare tanti altri aspetti. È uno sport popolare che ti permette di conoscere, indagare ed entrare nella vita quotidiana, sociale e nella storia. Soprattutto nel periodo di Bartali ogni pagina è un richiamo anche alla storia. Il ciclismo è sempre stato la cartina di tornasole delle vicende politiche e sociali.

L’altro aspetto che mi appassiona molto è quello popolare, solitamente i campioni e i corridori arrivano da contesti non borghesi, sono personaggi abituati a faticare, quindi sono persone che hanno usato questa chance per migliorare la propria condizione di vita, una sorta di riscatto sociale.

Via via dal guardare le competizioni è cresciuto il desiderio di approfondire determinati personaggi e periodi storici e così ho scritto alcuni libri, il primo legato al collezionismo sulla storia del ciclismo “Il Collezionismo nel mondo della bicicletta” nel 1999 edito da Ediciclo, “E non chiamatemi (più) cannibale. Vita e imprese di Eddy Merckx” del 2003 edito da Limina e nel 2018 “Vigorelli e altre storie” che me lo sono autoprodotto.

Poi è arrivato Bartali nell’anno di Coppi…
È stato partorito nell’anno del centenario di Coppi, per dirla tutta avevo in mente di scrivere qualcosa sul Campionissimo e pensavo a un testo teatrale, ma non è stato semplice perché occorre trovare un po’ di soldi per finanziare l’impresa. Comunque non mollo. Mentre avevo in testa di scrivere di Coppi è nato invece un libro su Bartali. Un editore cattolico, Mimep-Docete, mi ha spalancato le porte e ha deciso subito di pubblicarlo. Sono un “coppiano” perché le vittorie di Coppi sono indimenticabili e assolutamente uniche: Merckx ha vinto di più ma Coppi ha vinto meglio perché dava distacchi abissali agli avversari ed era uno spettacolo vederlo salire sui tornanti delle grandi salite. Coppi è il campionissimo per eccellenza, inimitabile. Ma Bartali è da riscoprire.

Come vanno le vendite del libro? 
L ‘editore è stato prudente. Ha stampato un migliaio di copie e ne sono rimaste poche in magazzino. Sta pensando a una ristampa.

 

 

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