Qualcuno ha offeso la memoria del bersagliere ciclista Carlo Oriani portando delle teste di manichini sul monumento di via Ariosto. Probabilmente è stata una bravata, una goliardata.
L’autore del gesto non conosce la storia, non sa chi è Carlo Oriani, nato a Balsamo, vincitore del Giro d’Italia del 1913, mandato al fronte a combattere, partecipò alla ritirata di Caporetto, si buttò nel fiume per salvare un commilitone. Per non cadere prigioniero attraversò a nuoto il Tagliamento. Altri testi nominano invece il Piave. In ogni caso, l’acqua, il freddo e soprattutto la mancanza di antibiotici, fecero il resto. Provarono a salvarlo, portandolo al sole del sud, ma niente da fare. Si spense prima dei trent’anni.
Dalle sue parti, Balsamo, lo chiamavano El Pucia, per via di quella fame sana che portava sempre con sè, per cui non pareva mai sconveniente ripulire interamente il piatto con una mollica di pane. Oriani faceva “la puccia”, mangiava e si allenava. Frequentava l’osteria, ma senza esagerare: andava a letto presto. Il mattino inforcava la bicicletta, anche con la nebbia.
Oggi riposa nel cimitero di Sesto San Giovanni di viale Rimembranze.
Con tutta probabilità Oriani non è stato solo un grande campione (protagonista del ciclismo pionieristico, vinse un Giro d’Italia e un Giro di Lombardia) ma anche un eroe che diede la vita per salvare un compagno.
Giù le mani dal nostro Pucia!