[textmarker color=”E63631″]SESTO SAN GIOVANNI [/textmarker] – Un rito antico, che non manca di affascinare anche oggi. Il pallone di ovatta sospeso nell’aria che prende fuoco. Ieri mattina, durante una messa delle 11,30 gremita di sestesi, si è ripetuta la tradizione di ogni Santo Stefano. E a dar retta al pallone, quella fiamma alta e omogenea preannuncerebbe un 2015 positivo e fortunato per la città. O almeno così si auguravano i tanti fedeli che ieri erano presenti.
Volgarmente detto “pallone di Santo Stefano” si chiama in realtà “rito del faro” ed è una tradizione che avviene in tutte le chiese dedicate al Santo festeggiato il 26 dicembre, come la basilica di Sesto. Oltre a segnare un auspicio per l’anno imminente, ha un significato molto più profondo, come ricordato durante la celebrazione: “La sfera rappresenta il mondo e come questa brucia in pochi attimi divorata dalle fiamme, così passa anche la vita terrena”. Una metafora della fragilità umana, della piccolezza.
Ma ieri era anche la festa in ricordo di un martire. Anzi, del primo martire cristiano. Intorno al 36 d.C. Stefano fu accusato di blasfemia per le sue predicazioni e lapidato. Il martirio è descritto negli Atti degli Apostoli (cap. 6-7).
SOLIDARIETA’ CON I FRATELLI MUSULMANI, CONTRO I TERRORISTI
Proprio a partire dalla storia del patrono, il prevosto don Giovanni Brigatti ha ricordato i martiri di oggi, che riempiono le cronache di giornali e televisione. Citando in particolare i gruppi estremisti, primo fra tutti l’Isis o Stato Islamico, ha invitato a non fare di tutta l’erba un fascio, ma a distinguere quelli che si professano islamici ma in realtà non lo sono, dai tanti fedeli che convivono anche a Sesto e con i quali bisogna solidarizzare.
“E’ giusto condividere il dramma con questi fratelli anche se istintivamente verrebbe un altro sentimento contro chi commette questi fatti indicibili” ha detto don Brigatti. “A Sesto ci sono circa 1.700 egiziani, e la stragrande maggioranza sono di fede musulmana: Santo Stefano ci invita a costruire la pace”.
“LA COMUNITA’ NON SIA UNA STAZIONE DI SERVIZIO”
Infine, una nota sulla comunità parrocchiale. Il prevosto ha invitato i fedeli a non servirsi della parrocchia come di una stazione di servizio o di un supermercato, ma di vivere la comunità mettendosi “al servizio”, cioè mettendosi in gioco per costruirla, rendendosi disponibili. “C’è il modello “prendo e me ne vado”, dove si entra solo se serve un momento di consolazione o di compagnia. – ha detto don Brigatti – E c’è il modello della comunità missionaria e cristiana: con i miei fratelli e le mie sorelle mi impegno, prego, costruisco un luogo di vita, mi adopero far crescere la comunità”.