Ven. 29 Mar. 2024
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Goodbye Province. O forse, no? La risposta in un libro di Silvia Paterlini

[textmarker color=”E63631″]NORDMILANO – [/textmarker] Provincia, addio. L’abbiamo salutata a fine giugno, quando dopo 150 anni di attività ha chiuso per sempre i battenti il consiglio provinciale ed è iniziato il percorso che entro la fine dell’anno porterà alla nascita della nuova città metropolitana. Ma davvero le Province non esistono più? Lo abbiamo chiesto a Silvia Paterlini, giornalista, negli ultimi 5 anni responsabile della comunicazione e dell’ufficio stampa della Presidenza del Consiglio della Provincia di Milano, autrice di “Goodbye Province. Miti e retorica dell’abolizione in 100 luoghi comuni”, edito da Guerini e Associati. Un libro che, spiega l’autrice, vuole essere “una sfida, una provocazione a un Paese che non vuole approfondire e si alimenta di falsi miti e mezze verità”.

Paterlini, come nasce l’idea di questo libro?

Dai miei 5 anni di lavoro al consiglio della Provincia di Milano. Era un’idea che avevo in mente da un po’ di tempo, poi ho iniziato a seguire bene il dibattito sull’abolizione delle Province, a raccogliere dati, a parlare con le persone e mi sono accorta del clamoroso abbaglio che c’è dietro questo tema. Spesso anche chi sostiene con forza le regioni dell’abolizione alla fine non sa nemmeno le Province cosa fanno. È colpa dell’eccessiva semplificazione dei media, ma anche della presa di posizione demagogica di parte della politica e degli addetti ai lavori.

Allora partiamo dall’inizio. Finalmente il Governo Renzi ha abolito le Province. O no?

In realtà no, anche se il decreto Delrio che ha ridisegnato le Province e le nuove città metropolitane è stato presentato così. Le Province sono ancora previste dalla Costituzione. La parola “abolizione” nel decreto Delrio non c’è, non si parla neanche di abolizione della tasse provinciali o delle concessioni. Quello che cambia è che non ci sarà più il consiglio eletto dai cittadini e questo secondo me è un errore. A un problema che sicuramente c’è ,ed è quello dell’autoreferanzialità della politica che tanto fa arrabbiare i cittadini, si è risposto togliendo l’unico mezzo di controllo che sulla politica ha l’opinione pubblica: la possibilità di scegliere i suoi rappresentanti. È la risposta sbagliata.

Una delle argomentazioni a favore dell’abolizione delle Province è il risparmio sulla spesa pubblica che si otterrebbe eliminando enti accusati di non servire a nulla. Le Province sono un grande spreco o un capro espiatorio?

Se il dibattito è: aboliamo le Province e si risolvono tutti i problemi della spesa pubblica, allora sono un capro espiatorio. L’Istituto Bruno Leoni, convinto abolizionista e il più ottimista sui risparmi possibili, quantifica il risparmio che si avrebbe dall’abolizione delle Province in circa 2 miliari di euro, pari allo 0,25 per cento della spesa pubblica. Il punto è che anche abolendo le Province, le funzioni che loro svolgono e i servizi che erogano rimangono e continuano a essere una spesa, che sarà a carico di un altro ente. Pensiamo solamente alla gestione dei trasporti e degli uffici di collocamento o alla manutenzione delle strade e delle scuole. L’unico modo per risparmiare è privatizzare questi servizi. Siamo pronti a farlo? Altrimenti, parliamo solamente di uno spostamento di funzioni e di costi. Detto questo, c’è sicuramente spazio per una razionalizzazione. Per esempio, io credo che ci sia una sperequazione eccessiva tra gli stipendi dei dipendenti provinciali e quelli dei dirigenti, che sono davvero strapagati. Ma questo è un discorso che vale per tutti i livelli amministrativi.

Con l’abolizione, però, si risparmierebbero i costi della politica.

Questo è sicuramente uno dei luoghi comuni da sfatare. I costi della politica valgono appena l’1 per cento del volume di spesa delle Province. Tra indennità per presidenti, presidenti del consiglio, assessori e consiglieri e rimborsi spese parliamo di circa 105 milioni di euro su 10 miliardi di spesa. Se avessimo continuato a votare per le Province, per effetto di una legge del 2011, il numero degli amministratori provinciali sarebbe sceso da 3000 a 1774 unità, con un risparmio notevole. Il costo della politica avrebbe rappresentato all’incirca lo 0,3 per cento del volume di spesa complessivo delle Province. Parliamo di circa 32 milioni di euro. Poi, bisogna considerare che se nelle Province più grandi come Milano o Napoli un consigliere provinciale può arrivare a guadagnare in un mese anche più di mille euro, senza tredicesime, Tfr e accantonamenti pensionistici, nelle Province medio-piccole il compenso è assai inferiore.

E le tasse?

Nessuno ne ha parlato. Per Milano, ad esempio, la legge dice che la nuova città metropolitana subentrerà alla Provincia in “tutti i rapporti attivi e passivi”. Torniamo sempre al solito punto: anche se si aboliscono le Province, i servizi rimangono e bisognerà continuare a sostentarli con le tasse, se non si vuole privatizzare.

In questi 5 anni passati in Provincia ha visto sprechi?

Posso dire di aver visto grande sobrietà e correttezza, conteggi minuziosi sui rimborsi spese e pochi sprechi. Poi, secondo me c’è un tema: il lavoro va pagato. Io credo che sia giusto che gli amministratori percepiscano un compenso per il lavoro che fanno, se non vogliamo tornare alle istituzioni per censo e alla politica fatta solamente da chi si può permettere di non lavorare. I cittadini non chiedono di non pagare i politici, ma di essere governati bene. Credo che nessun avrebbe niente da ridire sui compensi dei politici se fossimo governati bene.

Cosa cambierà a Milano con la città metropolitana?

La città metropolitana avrà gli stessi confini e grosso modo le stesse funzioni della Provincia. Cambierà il nome e nulla più: è un po’ la riforma del gattopardo. Rimane il fatto che i cittadini non sceglieranno più i loro rappresentanti. Del consiglio provinciale, del suo essere espressione della democrazia, pur nella farraginosità di certi meccanismi, credo che sentiremo molto la mancanza.

Ma ci sarà un risparmio per le tasse dei cittadini?

I dipendenti rimarranno gli stessi della Provincia. Si risparmierà sui gettoni di presenza dei 24 membri del consiglio metropolitano, che saranno scelti tra i sindaci e i consiglieri dei Comuni della città metropolitana per i quali non è previsto un compenso, ma non sui loro rimborsi spese, come ad esempio i rimborsi chilometrici.

Insomma, questa riforma avrebbe potuto essere fatta meglio.

Si poteva razionalizzare. Ci voleva il coraggio di rivedere funzioni e competenze dei vari enti, anche dei Comuni e delle Regioni, ma la verità è che nessuno è disponibile a cedere un millimetro del proprio spazio.

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