Gio. 25 Apr. 2024
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Cinisello Balsamo, “Storie di chi…”, nel Giorno della memoria un ponte tra passato e presente

Ernst Lossa era un ragazzino quattordicenne quando venne ucciso con un’iniezione letale il 9 agosto del 1944 a Irsee, filiale dell’ospedale psichiatrico di Kaufbeuren, nel quale era stato trasferito perché considerato “malato di mente e non educabile”. Alla fine della guerra gli interrogatori stabilirono che Ernst non era malato e non soffriva di alcuna turba psichica. È diventato il simbolo delle vittime del programma di eutanasia nazista avviato da Hitler nel 1939 conosciuto come Aktion T4 che portò alla morte circa 200mila persone. Il programma aveva come obiettivo la soppressione, sotto responsabilità medica, delle persone affette da malattie genetiche inguaribili e di persone con disabilità intellettive, le cui vite erano giudicate “indegne di essere vissute”. Un ulteriore esempio di disumanità inserito nelle pagine buie di quegli anni che non devono cadere nell’oblio della storia.

Storie di chi…” è il progetto teatrale nato attorno al tema dello sterminio perpetrato dai nazisti attraverso il programma Aktion T4, nel quale sono proprio le persone con disabilità a farsi portatrici della narrazione, protagoniste in prima persona con una rielaborazione personale dei fatti, sia sul piano storico che emotivo. Il progetto ha preso corpo all’interno di L-inc teatro, laboratorio teatrale avviato ufficialmente lo scorso anno in occasione del Giorno della memoria, guidato dall’educatore di Arcipelago, Edgar Contesini, che coordina il gruppo di lavoro costituito da una decina di persone con disabilità intellettiva e fisica. Che nemmeno la pandemia è riuscita a fermare.

Edgar, come è nato il laboratorio teatrale?
Il laboratorio è nato nel novembre del 2019 quando ci siamo ritrovati attorno al tavolo a parlare del programma di sterminio AktionT4, un tema che tratto da molti anni anche all’interno dei corsi di formazione nei quali insegno. È importante portare avanti la riflessione su questo argomento non soltanto per un discorso, giustissimo, di ricordo e di memoria, ma perché è un atteggiamento mentale che ritorna spesso, anche se nel piccolo come proporzioni di pensiero e di attuazione. Cioè il fatto che su certe categorie di persone forse non valga la pena di investire, in termini di tempo, di denaro e di energie e purtroppo è una forma mentis che si ripete. Serpeggia ovunque, dalla politica al bar, per questa ragione è interessante tenere viva la riflessione sul fatto che non ci sono persone di serie a e b.

Storie di chi…” è il titolo del vostro progetto, a chi appartengono queste storie?
Sono le storie delle persone che non si conoscono e che hanno fatto purtroppo quella fine durante l’Aktion T4, ma sono anche le storie che riguardano le persone con disabilità che ci sono oggi, proprio a causa di quell’atteggiamento un po’ infimo che serpeggia sempre.

Quindi vuole essere una sorta di ponte tra i fatti del passato e il presente?
Esatto, infatti all’interno del testo, oltre ai racconti che riguardano gli eventi passati, le persone hanno riportato dei racconti autobiografici relativi ai momenti in cui sono state considerate persone di serie B. Lo rende bene l’idea di una delle nostre attrici: “Se nelle cliniche avvelenavano i pazienti, perché non raccontiamo i momenti e le persone che ci hanno avvelenato la vita?”. Quindi si è trattato di un lavoro doppiamente impegnativo, perché non c’è solo la drammatizzazione, ma anche un lavoro su di sé che significa farsi carico di quello che è stato, dei momenti sgradevoli che li hanno segnati e, nello stesso tempo, farsi carico della presa di coscienza di questa violenza, del massacro delle persone con disabilità in epoca nazista.

In che modo avete organizzato il lavoro su un tema così complesso?
Non potevo, a parte con poche persone, fornire il materiale storico diretto perché sarebbe stato difficile da comprendere. Allora abbiamo passato le prime settimane a guardare insieme questo materiale, che io leggevo, spiegavo, illustravo, abbiamo poi guardato alcuni documentari e un film su questo tema. Dopodiché, avendo messo sul piatto un po’ di informazioni, ho cominciato a chiedere loro che cosa li avesse interessati, colpiti o disturbati. E dalle loro riflessioni siamo poi passati a un lavoro di gruppo e poi individuale in cui ognuno di loro costruiva testi, idee, scene, idee per oggetti. Quindi il lavoro parte dall’idea del gruppo, il mio compito è quello di tenere il binario del tema, però per quanto riguarda la drammaturgia e il canovaccio, tutto parte dalle idee dei partecipanti. Quindi le parole che vengono messe in scena sono le loro.

Nonostante la pandemia non vi siete fermati, avete continuato a lavorare, come avete portato avanti l’attività laboratoriale?
Durante la settimana ci vedevamo con videochiamate su Zoom, un momento di scambio di idee nel quale creavamo insieme dei testi. A seconda di quello che emergeva, di volta in volta assegnavo dei compiti ai partecipanti, delle storie da inventare intorno al tema che dovevano creare a casa e poi inviarmi perché le rielaborassi. Ce la siamo cavata in questo modo pur non vedendoci. È stato importante per non perdersi di vista e anche per avere uno scopo su cui lavorare con interesse e assiduità in quei mesi in cui non si poteva neanche uscire di casa. Il canovaccio è praticamente pronto e si tratta adesso di aspettare di ritrovarci a provare tutti in presenza per poterlo poi aggiustare e dare corpo allo spettacolo.

Canovaccio pronto, quando prevedete di portare in scena lo spettacolo?
Nei nostri programmi avremmo dovuto cominciare nel mese di febbraio di quest’anno con le cosiddette prove aperte dello spettacolo, quindi cominciare a rodarlo, per capire cosa effettivamente funziona o meno, perché durante le prove talvolta non emerge completamente. In realtà adesso aspettiamo di avere il via libera perché il gruppo si possa ritrovare e prevediamo di andare all’autunno prossimo per iniziare a mostrare lo spettacolo dal vivo.

A chi vi rivolgerete?
Inizialmente abbiamo chiesto gli spazi in alcuni circoli culturali, biblioteche, e ci rivolgeremo al teatro Bi di Cusano e Cormano. Questi saranno i primi step per vedere come funziona, dopodiché la nostra idea è produrre del materiale in modo che i teatri veri e propri ci possano ospitare, così come gli spazi teatrali nelle città del Nord Milano che offrono momenti, festival, in modo da entrare in quello che è poi il teatro per tutti e non rimanere circoscritti al solito teatro dei servizi per disabilità.

Di Micol Mulé 

 

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