Gio. 28 Mar. 2024
HomeCinisello BalsamoInchiesta della Procura svela nuove ombre del Califfato nel Nordmilano

Inchiesta della Procura svela nuove ombre del Califfato nel Nordmilano

[textmarker color=”E63631″]NORDMILANO[/textmarker] – L’ombra del terrorismo islamico continua a essere forte sul Nordmilano. Una nuova inchiesta che riguarda Monsef El Mkhayar, 21enne marocchino cresciuto a Milano e poi partito per la Siria per andare a combattere con l’Isis, svela nuovi particolari e collegamenti con la realtà del Nordmilano.

Dalle indagini svolte, risulta che il giovane marocchino avrebbe minacciato un connazionale che vive nel Milanese, come lui ospite in passato di una comunità di accoglienza per minori di Vimodrone, dicendogli “viene qua anche tu in Siria o ti ammazzo”. Il particolare è emerso nel processo per terrorismo internazionale a carico del 21enne, scaturito dall’inchiesta, condotta dalla Digos di Milano e coordinata dal pm Piero Basilone

Ritorna anche il nome di Usama El Santawy, ex presidente del centro culturale islamico di Cinisello Balsamo, con il quale il giovane oggi in Siria avrebbe intrattenuto una discussione. Usama però avrebbe interrotto subito la comunicazione con lui. E Monsef lo avrebbe accusato di comportarsi “come una donna perché invece di combattere e fare il jihad stai in un Paese di miscredenti” come l’Italia.

In aula la funzionaria della Digos milanese Cristina Villa, e un educatore della comunità dove Monsef e l’amico Tark, poi morto in Siria, hanno vissuto, hanno raccontato del tentativo di reclutamento, finito con una denuncia da parte della vittima, che nel dicembre scorso si è rivolta alla polizia per raccontare tutto. Monsef, che al momento è latitante, e Tarik erano stati affidati nel 2010, da minorenni, alla comunità di Vimodrone e da maggiorenni si erano trasferiti in un appartamento a Milano. “Monsef ha avuto dei precedenti per spaccio e per un’aggressione – ha raccontato un responsabile della comunità in aula -. Una volta uscito da San Vittore sembrava avesse cambiato vita, non beveva più e non si drogava più, sembrava diventato una sorta di santo, aveva iniziato a frequentare le moschee e a fare discorsi monotematici sull’Islam. Probabilmente – ha aggiunto – l’esperienza in carcere ha fortificato un atteggiamento radicale che prima aveva in fase solo embrionale”.

Nel dicembre 2015, Monsef ha aperto un altro profilo con un nuovo nickname per fare proselitismo, mentre già a luglio i due avevano contattato un ragazzo che era stato ospite con loro in comunità tramite WhatsApp per convincerlo a raggiungerli. Davanti al suo rifiuto, erano partite le minacce con Tarik che, il 4 dicembre 2015, gli aveva scritto: “Quando arrivo là ti taglio la testa. Hai visto Francia”, facendo riferimento agli attentati di Parigi di novembre. Stesso schema e stessa violenza usata anche per cercare di convincere un altro ragazzo, un marocchino di 22 anni, a partite e andare a combattere nel Califfato. Ma quando Monsef l’ha incalzato via chat, il ragazzo si è rivolto alla polizia.

ARTICOLI CORRELATI