Sab. 18 Gen. 2025
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Piscina, religione e quell’occasione mancata

[textmarker color=”E63631″]SESTO SAN GIOVANNI[/textmarker] – C’è una via politica per dire il proprio pensiero, per criticare una iniziativa, per prendere una posizione. E io non sono politico, per questo credo esista un altro modo, quello giornalistico, per dire che l’iniziativa del corso di nuoto per sole donne, organizzata a Sesto San Giovanni dal Centro Islamico e raccolta dalla Polisportiva Geas, ha più di una falla. Nel senso che non ha nulla a che vedere con quel concetto di integrazione tanto sbandierato a destra e sinistra, da più fronti.

La via scelta è quella della cronaca. Cercherò di raccontare, semplicemente raccontare sforzandomi di non commentare, quello che è successo lunedì mattina a Sesto San Giovanni. Non per dire che il corso non ha senso, ma piuttosto per cercare di far capire che non ha esattamente quel senso sperato, o quanto meno quella accezione di “momento di dialogo” che forse anche io speravo potesse avere un momento sportivo.

Prendo la mia moto. Arrivo in via Marzabotto. Intorno alle 10 perché ho appuntamento lì a quell’ora con Sabrina, coordinatrice dell’iniziativa e responsabile del centro islamico. il cielo sgombro, il sole che picchia ma non placa il primo vero freddo invernale. Parcheggio la mia moto a pochi passi dal cancello della Olimpia, che è ancora chiuso. Scendo dalla moto, mi tolgo il casco e attendo. Intorno alle 10.10 mi arriva un messaggio di Sabrina che mi avvisa che avrebbe fatto tardi. Cinque minuti più tardi arrivano due donne, velo in testa, borsa sulle spalle. Parlano tra di loro. “Siete qui per il corso?”. “Sì”. Non chiedo loro altro. Non voglio essere troppo invadente.

Passano altri cinque minuti. Arriva una ragazza con una borsa a tracolla. Mi guarda, passa davanti all’ingresso della Olimpia e tira dritto. Passa oltre, guardandomi. Io la fisso e cerco di capire se avesse bisogno di qualcosa. Si ferma poco distante dalla mia moto, armeggia nella sua borsa, estrae un mazzo di chiavi. torna indietro, apre il cancello dell’Olimpia, la piscina. Si chiude dentro, richiudendo il cancello e guardandomi per l’ultima volta. Passano ancora altri cinque minuti e quella stessa ragazza si affaccia dal cancello. “Pssss”. Chiama una delle due ragazze con la borsa che aspettano fuori con me. Si parlano a bassa voce, mi guardano, mi indicano. La ragazza italiana rientra e chiude di nuovo la serranda rossa. L’altra ragazza torna dall’amica. Nel frattempo arriva un’auto da cui scende un’altra ragazza italiana che entra in piscina dopo aver lasciato il figlio al nonno.

Arriva Sabrina insieme a un altro gruppetto di donne musulmane. Si ferma e saluta una collega, lì con me per raccontare il primo giorno di questa tanto dibattuto corso di nuoto. Saluta anche me, ci presentiamo faccia a faccia per la prima volta. Risponde alle nostre domande sul corso, col sorriso. Spiega e racconta. Chiediamo di poter fare una foto a lei e alle ragazze con la borsa, lì davanti al cancello. “No grazie”. Saluta ed entra. Dopo aver scambiato quattro chiacchiere con la collega e il fotografo presenti busso alla piscina per fare due domande anche alle ragazze del Geas, le due italiane che erano all’interno della struttura. Vorrei capire anche da loro qualche “umore” di questo debutto. Suono il campanello, busso. Nulla. Apro la serranda, apro uno spiraglio la porta. Mi vengono incontro entrambe dicendomi di uscire immediatamente. “Io voglio solo chiedervi…”. “No, potresti uscire per favore”.

Esco. Chiudono di nuovo la serranda rossa. Da fuori la piscina sembra chiusa. Saluto i colleghi, mi infilo il casco, accendo la moto, riparto. Arrivo davanti al mio pc, penso a quello che è successo, al modo in cui ero stato guardato e allontanato dalla piscina. Chiedo a un’amica un favore: “Puoi chiamare in piscina e chiedere informazioni sul corso?”. Proviamo. Per diversi minuti nessuno risponde. Alla fine: “Pronto?”. Alle domande della mia amica arrivano queste risposte: “Non so nulla”. “Ma il corso c’è stato?”. “Non posso rispondere a queste domande”. “Ma io volevo informazioni”. “Chiamate in Comune”.

Ecco. E’ andata così per chi vuole credermi. potrei sintetizzare queste lunghe righe con una parola: imbarazzo. Non so di chi sia la colpa, se delle organizzatrici, delle istruttrici Geas chiuse in piscina e in palese imbarazzo al telefono, o se di tutta la Geas stessa. Ma quello che ho percepito è stato puro imbarazzo. Quello imbarazzato, ora, a dire il vero, sono io. Senza voler qui richiamare le polemiche precedenti e contemporanee, senza voler citare il dibattito politico e gli esposti al Prefetto. La piscina era palesemente chiusa, e una persona che ha chiesto informazioni è stata chiusa fuori. Al telefono viene scaricata “la palla” al Comune senza un motivo preciso. Credo, in fondo, che non ci fosse modo migliore per rispondere al milione di polemiche che rispondere alle domande dei giornalisti, prestarsi per uno scatto fotografico e rispondere alle domande di chi chiama da casa per cercare informazioni. Un’occasione di integrazione è stata trasformata in una manche a nascondino per cercare di celare non so cosa. Poteva essere un momento di sport, aggregante e coinvolgente, l’hanno trasformato in una polemica alle polemiche.

 

 

 

 

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