Ven. 19 Apr. 2024
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Bresso, la famiglia dell’Omero riunita per l’ultimo saluto al prof. Savino

[textmarker color=”E63631″]NORDMILANO[/textmarker] – Una scuola intera, professori con qualche capello bianco in più e giovani studenti ormai diventati donne e uomini maturi. Sono stati in tanti, una chiesa colma fino all’uscio, a voler dare ieri l’ultimo saluto a Ezio Savino, apprezzato studioso dei classici, ma soprattutto storico professore di greco e latino del liceo classico “Omero” di Bruzzano. Da sempre residente a Bresso, Savino si è spento sabato scorso, all’età di 65 anni dopo una breve malattia.

Scrittore, giornalista, geniale traduttore e interprete dei grandi testi della letteratura antica (Tucidide, Eschilo, Sofocle, Saffo, giusto per citarne alcuni) per grandi editori italiani e stranieri, per tanti studenti del Nordmilano Savino è stato soprattutto il prof. Savino, o Ezio, come erano soliti chiamarlo quando parlavano di lui in classe e tra i corridoi. Docente carismatico e ironico, Savino è stato per interi decenni il simbolo del liceo “Omero”, dove era arrivato vincendo un concorso a inizio carriera, negli anni Settanta, e dove è rimasto fino a pochi anni fa, prima di andare in pensione. Non a caso ieri, a rendergli omaggio nella chiesa SS. Nazario e Celso di Bresso, sono arrivate decine e decine di ex-studenti di tutte le età. Con loro, anche il gruppo storico dei professori del liceo di via del Volga, che si è stretto intorno alla famiglia, alla moglie, anche lei insegnante di lettere all’Omero, e alle due figlie, entrambe ex studentesse del liceo.

“Per tanti giovani Ezio Savino è stato l’iniziazione ai classici, un’iniziazione colta e geniale. Una vera e propria iniziazione alla vita”, ha detto il sacerdote durante l’omelia. “La grandezza di Ezio – ha aggiunto – non è stata solamente la sua cultura, pur eccezionale, ma l’aver speso nell’amore appassionato questo suo eccezionale talento”.

La notizia della scomparsa del professor Savino ha iniziato a circolare nel fine settimana sulla pagina Facebook del liceo milanese, che nel giro di poche ore si è riempita di ricordi, aneddoti e, soprattutto, di quelle frasi celebri che lo avevano reso un mito tra i suoi alunni. Come quella che era solita dire agli studenti che incontrava all’inizio della prima liceo e che poi, con il suo stile pungente, amava ripetere, giusto per mettere bene in chiaro le cose: “Il greco è tutto. O il greco o la morte”. Perché, “è qui – davanti a un testo greco durante un’interrogazione o una versione – che si vede l’uomo”. O come quella volta che, a casa in malattia, fece avere un biglietto a una sua classe con su scritto: “Ho percepito la vostra crisi di astinenza da Tacito (vi ho visto anelare, boccheggiare…). Allora preparatevi, domani vi farò una flebo!”. Indimenticabili anche i numerosi spettacoli teatrali basati sui testi classici che Savino preparava durante l’anno insieme agli studenti e che andavano poi in scena proprio al teatro di Bresso. Esperienza ripetuta negli anni anche con il laboratorio di Drammaturgia dell’Università Cattolica di Milano.

Questi e tanti altri episodi hanno ricordato ieri gli studenti dell’Omero fermandosi a lungo fuori dalla chiesa, dopo una cerimonia sentita e molto commuovente. Per tutti è stato come “un tuffo nel passato”. Anche se, ancora una volta, le parole migliori per raccontare il senso dei tanti anni trascorsi in quel “liceo di frontiera” che è ancora oggi l’Omero, le aveva usate proprio Savino, in un articolo apparso nel 2006 su “Il Giornale”, testata con la quale collaborava da molti anni. “Dunque, che c’azzecca una fucina di tragedie greche e di consecutio temporum ai limiti della fascia urbana, dove perfino il biglietto del tram cessa di significare qualcosa e si deve aggiungere la tariffa extra? C’è voluto poco per capire che militare alla periferia dell’impero era posizione di forza. Parlo per esperienza, concretissima raccolta di dati in tante decadi di cabotaggio dietro le patrie cattedre”, scriveva il professore. “Non conserverei davanti alla mia aula una colossale epsilon, intagliata nel legno, apporto di antichi allievi, che accondiscesero a trapiantare sulla parete un po’ scrostata il segno delfico del conoscere te stesso, del mettere a fuoco il tuo limite, preambolo indispensabile del capirci qualcosa in tutto il resto”.

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